Rapporto tra Io e Ansia: come sfruttarlo al meglio
Nasco agli inizi di giugno del 1974 a Conegliano. Ma subito dopo i miei genitori si trasferiscono a Treviso e nel 1982 decidono di separarsi. Così la mia mamma ritorna nella sua città natale: Ferrara.
Fin da piccola amavo stare in mezzo alla natura, a contatto con gli animali. I cavalli erano la mia passione, che riuscirò a coltivare solo moltissimi anni dopo.
Al termine delle superiori decido di iscrivermi a Lettere. Amo tutte le materie umanistiche, soprattutto l’introspezione a cui conducono. Quindi mi laureo ed inizio a lavorare nell’ambito dell’Istruzione, in cui sono ancora.
A 34 anni trascorrevo le mie giornate divisa tra lavoro e scuderia e casa, ma mi domandavo sempre più spesso se la vita fosse tutta lì, se non ci fosse più niente da raggiungere per me.
Mi sembrava di viaggiare in una sorta di autostrada, da cui si vede il paesaggio circostante. Sentivo l’esigenza di attraversare quei paesini, vederli, conoscerli di persona.
Avvertivo un profondo malessere, un’insoddisfazione che cercavo di reprimere e non ascoltare. Purtroppo.
Durante tutta la mia esistenza la ricerca interiore, il capire chi fossi anche attraverso le varie attività che svolgevo è stato il mio motto.
Sono sempre stata convinta che anche un problema, all’apparenza banale, celasse un insegnamento da imparare. Nonostante fosse molto molto recondito.
I cavalli e l’equitazione mi hanno messo di fronte a dei limiti e aspetti di me che prima non pensavo di avere. Iniziano infatti gli attacchi di panico, l’ansia ogni tanto fa capolino, talvolta anche troppo spesso, lasciandomi un profondo senso di frustrazione perché non riuscivo a gestirla.
Forse avevo queste manifestazioni anche prima senza saperlo. La mia vita non è mai stata tutta rose e viole. Vi sono stati momenti impegnativi, sfide da superare ed ora si era aggiunta anche questa. Così decido di rivolgermi ad una specialista, proprio per capirmi meglio.
La svolta inizia ad esserci quando, un bel giorno, stanca di tutto e soprattutto di come mi sentivo impotente, mi dico: “In fin dei conti se abbiamo male ad un dente ci si rivolge ad un dentista: se ho questo genere di difficoltà, che mi limita quando vado a cavallo, anche se non sempre, è bene consultare una psicologa!”.
Per me l’equitazione era, ed è, una parte importante della mia vita e non capivo come mai proprio in certe occasioni avessi tali manifestazioni. Non sempre, per fortuna, soprattutto in concomitanza di concorsi.
La paura che si celava dietro tutta questa riflessione, era che si potessero manifestare anche in altri momenti. Se tanta energia viene repressa, prima o poi si manifesta in altri punti o altri modi.
In parallelo assecondo la necessità di leggere libri sulla motivazione, su come porsi correttamente gli obiettivi, sulla visualizzazione, sulle cure alternative, come la riflessologia, la metamedicina..
Ero in cerca di qualche risposta, diverse risposte che col tempo e la ricerca sono arrivate. E prima fra tutte imparare ad accettare ciò che sono e utilizzarlo come leva. Volevo essere libera di conoscere i miei talenti, le mie passioni. In poche parole cerco di diventare amica di quella parte oscura di me. Non è stato un percorso facile e non lo è tuttora, ma molto è cambiato.
Amplio il mio campo di ricerca per avere una visione più ampia. Mi affaccio al mondo della Pnl e sempre di più a quello della psicologia.
Cammin facendo una parte delle mie domande trovano risposta. L’aspetto più difficile era, ed è tuttora, imparare ad accettare quelle parti di me che non pensavo di avere, soprattutto quando sono quelle in ombra.
Non accettavo la mia ansia, anche quella da prestazione in concomitanza con i concorsi, i miei attacchi di panico, che talvolta mi venivano in allenamento, ed erano veramente poco capiti e riconosciuti e che limitavano molto l’espressione del mio potenziale.
Nel 2017 decido io stessa di approcciarmi al coaching e non solo, per cui nel tempo ho conseguito diverse specializzazioni: Master Practitioner in Pnl, Mental Coach in ambito Life, Sport, Team, Business e Mindset, Riflessologa palmare e plantare, Facilitatrice Mindfulness presso l’Istituto spagnolo di Psicologia Positiva, Educatrice Cinofila Siua (il mio amore per gli animali mi ha portato anche in questo cammino).

Mi sono anche iscritta alla Facoltà di Psicologia e sono in procinto di laurearmi tra un qualche mese.
Volevo vederci meglio, approfondire certe tematiche che tanto mi stavano a cuore e con cui mi scontravo abbastanza spesso.
Dal coaching imparo la pianificazione degli obiettivi, il pormi le giuste domande, l’andare in profondità.
Dalla mindfulness la voglia di essere consapevole dove sono, essere presente a me stessa il più possibile, anche se la mente si perde e viaggia separata dal corpo.
In questo caso ho imparato a non rimproverarmi, ma a riportare dolcemente l’attenzione al momento presente. Tante volte invece si fa l’esatto contrario, ci si rimprovera aspramente per non essere stati attenti.
La nostra attenzione non è sempre costante: molte volte agiamo per automatismi, proprio per una caratteristica peculiare del cervello che va a risparmio di energia, il glucosio, per cui è molto più semplice riproporre i soliti atteggiamenti che metterne in campo di nuovi.
Ecco perché il cambio di abitudini o modi di pensare è così impegnativo. E anche se, per un certo periodo di tempo, si seguono, alla fine è molto facile ritornare sulla vecchia strada. In questo caso è fondamentale la motivazione che ci spinge a voler migliorare.
Ma mi riferisco a quella motivazione intrinseca, profonda, di pancia, che sentiamo proprio quando siamo esausti della solita vita e del solito quotidiano tran-tran. Un po’ come quando arriva la primavera dopo un lungo inverno, apprezziamo le giornate che si allungano e notiamo con immenso stupore la natura che si risveglia.
Tendenzialmente reagiamo a stimoli esterni in maniera automatica: stimolo- risposta. La mindfulness agisce su quell’intervallo di tempo, che è breve quanto un battito di ciglia, andando a limitare l’automatismo con cui si reagisce.
L’essere consapevoli del momento presente, prendersi il tempo per agire e non reagire, fanno la differenza in ambito lavorativo, nelle relazioni, nelle nostre performance, qualsiasi esse siano, anche quelle sportive.
Questo fa sì che si abbia una migliore gestione emotiva. Soprattutto quando si è sotto pressione: si respira meglio e, ossigenando di più il cervello, si decide in maniera più lucida e produttiva.
L’essere nel presente permette di essere lontani dal sequestro emotivo di cui cadiamo vittima quando siamo in preda alla paura e all’ansia con conseguenza che non riusciamo più ad essere lucidi e a ragionare.
Al contrario invece è più facile dare il massimo, potendo esprimere tutto il nostro potenziale, raggiungere così la peak performance, rimanendo nel Flow, nel flusso di quanto si sta facendo in quel momento. Come se si fosse avvolti in una bolla, dimenticandoci di dove si è e del tempo che passa, tanto si è concentrati nel momento presente.
Personalmente, sia in preparazione di esami che di gare, non solo curavo l’aspetto tecnico, ma anche la preparazione mentale proprio con la mindfulness e la visualizzazione. Nella mia mente vedevo il gesto tecnico, il rettangolo di dressage che sarei andata ad eseguire, l’assetto a cavallo, oppure come potevo rispondere al professore, quali abiti avrei indossato, come mi volevo sentire.
Se in balia degli eventi oppure deus ex machina. Cioè essere io stessa, creatrice di eventi e soprattutto quando qualcosa non era previsto, a riuscire a gestire l’ansia ed il respiro.
Sono tecniche che tutt’oggi utilizzo, in modo da guidare la mente e non esserne guidata. Soprattutto quando l’ansia fa capolino, mi fermo, mi concentro sul respiro, a cui riporto dolcemente la mia attenzione. Inizio a prendere coscienza in quale parte del mio corpo avverto tensione e immagino di respirare attraverso quella parte. Oppure, se posso, inizio a scrivere cosa mi preoccupa. Così facendo pian piano tutto si acquieta e la pace un po’ alla volta ritorna.
Forse certe manifestazioni non spariranno mai, ma credo fermamente che si possano utilizzare come leve per conoscersi meglio. Se solo ce lo permettiamo e accettiamo innanzitutto quelle parti di noi che non ci piacciono.
Io lo sto ancora facendo: ho capito che non è importante il traguardo che si raggiunge, bensì il percorso, come diceva a suo tempo la mia psicoterapeuta. All’epoca non avevo ben compreso il significato, oggi sì.
Anita Alberti
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Rapporto tra Io e Ansia: come sfruttarlo al meglio
Come può essere utile il Coaching?
Il coaching cosa rappresenta, da dove nasce?
Il termine inglese coach risale al 1400 ed era inteso come mezzo di trasporto, la carrozza trainata da cavalli. Ma le sue origini sono ben più antiche.
Socrate e Platone sono da considerarsi come i primi coach. Il primo diffuse come insegnamento fondamentale il famoso detto dell’Oracolo di Delfi “Conosci te stesso”: coltivare la propria capacità di orientarsi nel mondo attraverso la consapevolezza di sè e di quanto ci circonda.
E Socrate poneva solo domande ai suoi interlocutori, non si permetteva di fornire risposte. Lasciando loro la possibilità di trovare la propria verità.
Platone, nel Teeteto, riporta l’insegnamento del suo maestro. Secondo cui il compito del filosofo non è quello di insegnare ma quello di applicare l’arte della Maieutica, l’arte dell’ostetricia. Cioè partire dalla propria verità che ognuno possiede.
Al giorno d’oggi siamo emotivamente analfabeti. Non riconosciamo le nostre emozioni, non ci permettiamo di viverle, soprattutto quelle negative. Purtroppo tutto questo crea blocchi e da qui alla malattia il passo è breve.
Tutto ciò accade non solo in rapporto a sè stessi, ma anche in relazione all’altro. Ci sono tipologie di persone che ciclicamente incontriamo e innescano sempre le stesse reazioni emotive, senza saperne il perchè, senza sapere che sono legate ad emozioni del passato. In realtà non è nel passato che dobbiamo stare ma nell’oggi e nel futuro, vedere oggi come vogliamo essere nel futuro. Proprio per questo è fondamentale prestare attenzione al proprio sentire, al proprio corpo e ai segnali che quest’ultimo ci invia.
Molte volte, ad esempio, conviviamo con un fastidioso mal di stomaco, prendiamo medicine. Ma poche volte ci soffermiamo a chiederci come mai, cosa non abbiamo digerito, non solo in senso fisico di cibo, ma anche di situazioni, cosa avrei potuto fare diversamente, cosa me lo ha impedito..
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